“Alva che rubò le stelle”
Alva, uomo del mistero e della conoscenza, uomo del sogno e, allo stesso tempo, della concretezza, viaggia di città in città portando la sua “verità” a tutti gli abitanti. Callisto, una simpatica orsetta tuttofare, prepara la strada e annuncia una delle più incredibili ed esilaranti invenzioni mai viste. E così, sul suo carro scintillante, Alva entra in città, dove non si parla d’altro: sconfiggere il buio e illuminare la notte. Ma come si fa? Come è possibile? Eppure gli abitanti adorano gli infiniti cieli stellati. Ogni cielo di ogni notte, di ogni anno, di ogni era, porta con sé sogni e speranze. Alla gente tutto questo piace, addirittura ce le hanno incorniciate le notti più belle della loro vita, nelle loro case, in quadri appesi alle pareti. E chi se le dimentica?
Ma Alva conosce il grande potere della persuasione e all’urlo seduttore di “Signore e signori, venite!” non si può restare impassibili. «Qui si vendono le stelle!». Ma davvero è possibile che si vendano le stelle? Probabilmente queste e tante altre sono le domande che si fanno gli abitanti della città. Alva, con tutta la maestria di un attore che sembra “aggredire” il palco, con le movenze di un teatrante-ballerino-artista di strada, narra di una notte lontana in cui riuscì a prendere le sue stelle del desiderio e a chiuderle, in uno slancio di protezione e tenerezza, in fragili sfere di cristallo. Ed ora, cari signore e signori, Alva è qui in città, che ci crediate o no, per darle a voi.
Il viaggio di Alva e il sipario di questo spettacolare racconto si chiudono su una panoramica in cui un cielo piatto e afono fa da sfondo a città sfavillanti di luci che sembrano aver rubato alla volta celeste le sue virgole luminose, i suoi occhi sempre accesi, quelle piccole lucciole di vita. Il cielo è buio, offuscato e senza espressione. E tutto questo perché ogni stella è imprigionata in un piccolo barattolo di vetro.
Amodio e Del Vecchio hanno deciso di raccontarci una storia che viene da lontano, viene da un pensiero profondo e da una personalissima riflessione sul progresso. Che le piccole sfere di vetro siano lampadine ce lo indicano inequivocabilmente le illustrazioni. Albo originale e sorprendente, “Alva che rubò le stelle” nasce proprio dalle domande che i due autori, legati da una lunga amicizia, si pongono. Può il progresso offuscare il passato fin quasi a indispettirlo? Fino a che punto la genialità e le intuizioni dell’uomo possono trasformare o snaturare ciò che esisteva, dimenticando la bellezza originaria della natura, delle relazioni autentiche, dei fatti e delle cose? Come dichiarato dall’autore, Marino Amodio, ci sono interrogativi ispirati dal vivere quotidiano, dal più o meno consapevole uso della tecnologia, dall’avanzare inesorabile del progresso, che hanno spinto i due autori a valutare le tante possibilità in cui creazione ed evoluzione possono coesistere. E lo fanno senza in alcun modo esprimere un giudizio. «Di sicuro – hanno dichiarato – non è nostro compito giudicare le conquiste raggiunte dalla tecnologia, ma possiamo confessare che, per quanto siamo persone che vivono il mondo contemporaneo con tutti i pro e contro che il progresso ci impone, il dubbio rimane. Resta sotto traccia un pensiero che ritorna spesso: ma davvero abbiamo rinunciato, come uomini, a vedere la luce delle stelle, perché offuscata da quella dei cellulari o dell’elettricità?». Il loro è, quindi, uno sguardo di persone giovani e dinamiche che vivono calate pienamente nel quotidiano e che, probabilmente come tutti, non possono fare a meno delle comodità del progresso, ma che riescono a guardare ancora con spirito critico la modernità. Il loro albo, curato nei minimi dettagli, risulta originale e accattivante e parla benissimo anche a un pubblico di giovanissimi, trasmettendo suggestioni su cui è possibile lavorare osservando da più punti di vista. Un racconto che attrae perché riguarda tutti.
Magistrale il lavoro fatto da Vincenzo Del Vecchio con le illustrazioni. Accompagnano il testo essenziale, chiaro, vero, curato e lo rendono ancor più poetico. Immagini che a volte omaggiano il teatro, altre volte rievocano ambientazioni cinematografiche, giocando con colori contrastanti ma delicati. Sembra, in alcune pagine, di essere di fronte a un ritratto in seppia. Immagini che ripercorrono atmosfere oniriche, essendo al tempo stesso molto concrete e plastiche, quasi tangibili. Bellissimo il primo piano sulle mani di Alva, mentre cattura la sfera luminosa: sembra che venga fuori dalla pagina e si materializzi nella realtà.
Interessanti i nomi utilizzati: Callisto, nel rimando all’astronomia e alla mitologia greca; Alva, altro nome del celebre Edison, lo scienziato e inventore che molto contribuì a cambiare il corso della storia dell’umanità. E poi ancora l’inserimento di tipici banditori che in passato usavano viaggiare di paese in paese, in alcune regioni italiane, tradizionalmente accompagnati da orsi ammaestrati. Amodio e Del Vecchio, condividendo un lavoro intenso sulle parole, sugli storyboard e sulla resa, cromatica e testuale, ci regalano un albo ricchissimo di spunti e di suggestioni.
«Sono belle, vero Callisto? Le stelle». È in questo modo che Alva si rivolge alla sua piccola aiutante ed è come se un sipario si aprisse su un palcoscenico oscuro, del colore della notte. Si respira, sin dalla prima pagina una qualche magia avvolgente, incantata, che affascina in un percorso tutt’altro che prevedibile, tutt’altro che convenzionale.
Mariangela Tantone
- Titolo: Alva che rubò le stelle
- Autore: Marino Amodio
- Illustratore: Vincenzo Del Vecchio
- Copertina rigida, pagine in carta: 44 pagine
- Edizione: Gallucci (2021)
- Lingua: Italiano
- ISBN: 978-88-3624-413-3